LIBERO FORUM SULLA STUPIDITA'

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     13) La Stupidità     14)  Idioms for Idiots
     15) Discorso sulla Stupidità     16)  Alcuni Sinonimi
     17) La stupidita' Oggi     18)  Le leggi della Stupidità
     19) Il cretino Cognitivo     20)  Contro le persone colte

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LA STUPIDITA'

Simone Veil ha detto che chi intraprende onestamente il mestiere di insegnante deve mettere in conto la radiazioni dai ruoli. E un mio vecchio professore aggiungeva: chi vuol fare davvero il mestiere dello studioso deve essere capace del coraggio della solitudine. Tullio de Mauro


Bouvard e Pécuchet appartengono ai massimi personaggi del romanzo europeo: invenzioni di una felicità ineguagliabile. Imbecilli il mondo è vostro di Pietro Citati

Passarono talvolta dei mesi senza che nessuno interrompesse la solitudine di Gustave Flaubert, negli ultimi anni trascorsi a Croisset. La vasta e vecchia casa guardava sulla Senna, sulle barche che vi passavano, sui rimorchiatori che, lasciando cigolare le loro catene, scendevano verso il mare……Tutte le giornate si assomigliavano: il caldo afoso avvolgeva la casa, la nebbia imbiancava i vetri come la calce, una notte nerissima fissava l'aria in un silenzio assoluto, non c'era un rumore, non c'era un soffio di vento, non c'era una stella, non una luce sul fiume, non un passante sulla strada. Intanto Flaubert si aggirava nella casa con un senso di proprietà assoluta…..: poi si sedeva alla scrivania, e per ore scriveva e cancellava, cancellava e scriveva, inseguendo la stessa idea per giorni e persino nei sogni, inebriandosi di inchiostro come ci si può inebriare di acquavite. Non voleva altro dalla vita. Cercava di allontanare tutti gli uomini: scartava "ogni manifestazione esterna e ogni relazione umana"; e viveva sepolto, come se fosse già morto, nel suo grande sepolcro bianco. "Non aspetto più nulla dalla vita che un seguito di fogli di carta da imbrattare di nero. Mi sembra di atraversare una solitudine senza fine, per andare non so dove…..In questi momenti la solitudine di Flaubert ci sembra la più tremenda che sia mai esistita; la solitudine di un vecchio animale ferito, la solitudine di una cosa piena d'anima, lasciata in un angolo e calpestata. Quando la malinconia lo assaliva, era divorato dai ricordi: gli amici morti, la madre morta, le donne perdute, momenti dell'infanzia e della giovinezza, le occasioni mancate, il campanile di una piccola città dove era stato felice……Malgrado la sua isteria, Flaubert si conosceva benissimo, con una chiaroveggenza spietata; e faceva sempre nuovi bilanci. Aveva sbagliato tutto. Nella sua folle e orgogliosa giovinezza, aveva sacrificato la vita alla letteratura: i libri gli avevano bruciato il desiderio di una famiglia. Sì, certo, la letteratura rende tollerabile l'esistenza: "la ricerca delle frasi ci fa dimenticare il rimpianto delle cose e, a poco a poco, la vita passa"…….Mentre preparava Bouvard et Pécuchet, il tempo precipitava sopra il suo capo. "Palpitazioni, tremori, strette alla gola…Passo dall'esasperazione alla prostazione, poi risalgo dall'annullamento alla rabbia". Quando scriveva aveva crampi allo stomaco, mali alle viscere, angosce nervose e un "umore accanto al quale l'ebano era color di rosa"…….Rimasto quasi in miseria, fu costretto a chiedere una pensione allo stato. La prima volta gli fu preferito un altro: i giornali raccontarono la vicenda; e lui maledì il giorno in cui la madre e l'amico Bouilhet lo avevano convinto a mettere il suo nome su un libro, e domandava irosamente di essere dimenticato da tutti….. Fin dalla giovinezza Flaubert aveva pensato di scrivere l'immnesa enciclopedia della bêtise umana. Nel 1872, quasi trent'anni dopo la prima folgorazione, cominciò a leggere libri di ogni specie: li comprava, li chiedeva agli amici, li domandava in prestito alle biblioteche di Rouen e di Parigi: in pochi anni giunse a leggerne 1500; e scriveva ai conoscenti per avere informazioni di ogni genere. Il 1° agosto 1874 scrisse la prima frase; poi la corresse, e il 6 agosto, alle tre di notte, nel silenzio assoluto del mondo, nacquero le prime righe di Bouvard e Pécuchet: "Comme il faisait un chaleur de 33 degrés, le boulevard Bourdon se trouvait absolument désert". Da principio Flaubert era caduto in una spaventosa disperazione: aveva creduto di non poter scrivere nemmeno una riga; ma dopo qualche giorno, sebbene affermasse che "bisogna essere completamente pazzi per cominciare un libro simile", cominciò lentamente a coprire di segni la carta. Scrisse due capitoli, cominciò a lavorare al terzo; ma, nel marzo 1875, quando fu sconvolto dal disastro finanziario del marito della nipote, abbandonò il libro. Non aveva più forze per continuare un'impresa così terribile……Flaubert odiò quasi tutti i suoi libri. Ma non ne odiò nessuno con la violenza con cui odiò quel libro "spaventoso", "abominevole", "infernale", "diabolico", che era Bouvard e Pecuchet. Prima di iniziarlo, si sentiva già sfinito. Gli sembrava di doversi imbarcare per un lunghissimo viaggio, verso regioni sconosciute, e che non sarebbe mai ritornato a casa: - e difatti non tornò mai…..Alla fine diceva che Bouvard e Pécuchet era divenuto, per lui, un peso: era spossato, sfibrato, stremato: aveva il cervello in pontiglia; come un vecchio cavallo, alla fine delle forze ma coraggioso, continuava a trascinare il suo carico pesantissimo, che l'avrebbe certo condotto tra le ombre. Qualche volta, veniva ancora preso dall'entusiasmo. "Se me la cavo, scrisse nel 1877, il globo terrestre non sarà degno di portarmi". "Il libro è molto buono, molto audace, molto potente, e per niente noioso. Ecco la mia opinione", disse qualche mese prima di morire. Questi odi, questi tremori, questi entusiasmi non devono meravigliarci. Flaubert non stava combattendo, come al tempo di Madame Bovary, con delle semplici difficoltà letterarie. Aveva evocato il dio della sua esistenza, che tante volte si era affacciato sulla pagina bianca, gli aveva sorriso con un ghigno spaventoso, minacciando di inghiottirlo o di perderlo nella tenebra. Fin da quando era ragazzo, aveva posseduto un dono rarissimo: fra tutti i fatti o le sensazioni o i colori che si presentavano al suo sguardo e al suo udito, egli isolava subito, con una sensibilità esasperata, tutto ciò che apparteneva al dio della bêtise. Non vedeva altro. Trovava idiote molte cose che non lo erano affatto. Vedeva la bêtise dovunque, nella vita politica o letteraria o nella religione o nella filosofia, o nelle parole ascoltate per strada, o nel profilo di un borghese o nella pubblicità di un giornale; e con la sua fervida immaginazione pensava che gli imbecilli coprono tutto il mondo, persino gli antipodi, come una razza di microbi, di cui lui solo possedeva l'amara scienza. Si sentiva schiacciato e terrorizzato: come uno che sta con l'ombrello aperto mentre il Diluvio Universale sommerge la terra, o come una mosca che porta sulla schiena l'Himalaya. La sciocchezza era diventata, per lui, una vera malattia: una grandiosa ossessione, una folle mania di persecuzione, che cresceva, si dilatava, si allargava, si ampliava, e finiva per nascondergli l'universo.
Cosa poteva fare contro il dio della Bêtise? Il suo buon senso borghese lo incitava a combatterlo: doveva odiarlo con tutte le forze, vomitare il fiele che lo soffocava, sputare il disgusto, scrivendo un libro di "vendette", come forse tanti anni prima, avevano fatto i grandi profeti, Isaia e Ezechiele, a cui talvolta egli credeva di assomigliare. In qualche raro momento di consapevolezza, si accorse di non essere affatto l'Isaia e l'Ezechiele della Bêtise. Ne aveva bisogno. Cosa sarebbe stato, senza le migliaia di sciocchezze che registrava nei suoi quaderni blu e che la domenica leggeva ad alta voce agli amici con la sua bella voce di "predicatore o di colonnello in pensione"? No, non era Ezechiele. Era soltanto uno delle migliaia di operai moderni, servi obbedienti della Bêtise, che le innalzano ogni giorno il suo monumento imperituro. Per Flaubert la bêtise aveva due aspetti. Se, agli altri, le sciocchezze che egli raccoglieva sembravano soltanto un'apparizione vuota, fantomatica e negativa, per lui erano un pieno. Ognuna di quelle sciocchezze era una pietra, o un mattone, - e quelle migliaia di sciocchezze, se le avesse accuratamente accatastate, avrebbero formato una specie di piramide di Cheope, ai piedi della quale sarebbe stato bello trascorrere tutta la vita, blasfemi e adoranti. Ma era anche vero il contrario. La bêtise era una forza liquida, una melma risucchiante, un Maelstrom tenebroso, che lo inghiottiva con la sua immensa forza di attrazione e di suggestione. In ogni caso, la bêtise veniva incontro a tutti i suoi desideri. Era monumentale, e soddisfaceva il suo desiderio di grandiose architetture: era infinita, e lo faceva sognare; era folle scatenata, alcoolica, assurda, e lo inebriava, più dell'acquavite e dell'inchiostro.

Bouvard e Pécuchet di Gustave Flaubert Prefazione di Roger Kempf, traduzione di Gioia Zannino Angiolillo, introduzione e ampio commento di Lea Caminiti. Rizzoli Editore. Indice Pagina   Indice Forum


IDIOMS FOR IDIOTS by Donald Watson

Anche i termini per definire gli sciocchi hanno una loro storia. Dal classico fool all'erudito dunce all'inverosimile charlie. Senza offesa per chi si chiama davvero così.

All Fools' Day (1 April) is upon us, but how many words do you know in your language for fool? I just asked myself the same question and started scribbling them down. I soon had over fifty words, and I noticed that some have quite unusual histories.
    The word fool itself comes from the Latin for bellows or an inflated ball: so a fool is someone whose head is full of air. A modern slang equivalent would be airhead. In contrast we have lots of words which imply that the head of a fool is a solid lump: blockhead, thickhead, fathead. Then there's clot, which also means a thick lump (as in a clot of blood), clod, which originally means a lump of earth, and chump, an old word for a piece of wood or meat. There are more references to the head and its contents (or lack of them) in bonehead, dunderhead (literally, a head full of thunder!), pinhead, numbskull, and - without wishing to offend our feathered friends -birdbrain.
    Many animals were used as insults in the past, but most of them seem to have died out (the insults, not the animals) in these more sensitive times, except for ass, jackass (a male ass) and the slightly old-fashioned goose, as in silly goose. There's also the American kook, meaning a person with silly ideas. This may come from the word cuckoo, and when we think someone is soft in the head we might still say they're cuckoo or bats or batty.
One of the most common words for a fool is idiot, this comes from the Greek idiotes which originally meant a private person, as opposed to someone who held public office. Initially the word had no derogatory meaning at all, but since only well-educated people were qualified to hold public office it came to mean someone who was unsuitable for such work, first because they lacked education and then because they supposedly lacked intelligence. This acquisition of derogatory meaning is quite common in the history of words, as we shall see.
The origin of the word dunce, meaning a stupid person who finds it difficult to learn, is quite unusual. The sixteenth century was a time of new thinking, both in society generally and in religion. But not everyone supported the ideas of the humanists and reformers. Some adhered to the doctrines of a thirteenth century Scottish theologian called John Duns Scotus, whose teachings had been influential throughout the Middle Ages. These people avere dubbed Dunsmen or Dunses by the reformers, who mocked their conservatism. So originally a dunce was someone who was resistant to new ideas, unwilling or unable to adapt, hence the modern meaning of a person who is slow to learn.
Many words focus on this slow-witted kind of stupidity: dolt, dope, duffer, dullard, dimwit, halfwit. There is often a reference to dim or dull in these words, just as bright and sharp are associated with intelligence and a quick wit. Wit originally meant mind, so a nitwit (sometimes shortened to nit) is someone with the mind of a louse, although some say this word comes from the dutch for I don't know. And then there are my favourites: twit, twat, and twerp. There's something about the initial tw- which makes these words sound both appropriate for the meaning and really insulting.
Unfortunately, even words which were originally intended not to be insulting eventually acquired a pejorative sense. There are several words which doctors and psychologists have tried to use objectively to denote levels of intelligence, but they always seem to degenerate into words of abuse. Words like imbecile, moron and cretin have precise scientific meanings, yet they have all become terms of abuse in everyday speech.
The Latin word for feeble has given us imbecile, which psychologists define as a person with an IQ of 25-50, capable only of guarding himself from danger and of performing simple mechanical tasks under supervision. Next up the IQ scale comes moron, a word derived from the Greek moros meaning foolish. It was invented in 1910 by an American psychologist, Dr Henry H. Goddard, to refer specifically to a mentally deficient person with a mental age of between eight and twelve and an IQ of 50-70.
The word cretin has an even more interesting history. Cretinism is a medical condition arising from a deficiency of the thyroid hormone, resulting in retarded growth and mental deficiency. The term créstin was originally applied to people with this thyroid condition in the Swiss Alps, and it meant Christian, the intention presumably being to draw attention to their humanity despite their deformity or perhaps as a reference to their gentleness. Now the dictionary declares that cretin, meaning an extreme stupid person, is taboo slang - and words can't get much lower than that.

For simple minds

    One of the least offensive words for a fool is a simpleton, someone who is simple-minded, an innocent. But the word innocent has been corrupted into the more derogatory ninny. Perhaps the slang nana is a further corruption of the same word. And if you call someone a nincompoop, the irritation and frustration you feel can easily be heard in this strangely expressive word.
Another word with a curious history is oaf. It comes from the same word as elf and originally meant a changeling, a child who was left by fairies (or elves) in place of the human child they had stolen. Abnormality in children was often blamed on these fairies, so oaf came to mean an abnormal child. It now refers to an idiot, especially a clumsy idiot.
Why certain personal names have become synonymous with stupidity is not always clear. Instead of I felt a fool, we might say, I felt a proper charlie, Charlie being an alternative form of Charles. It sounds a bit oldfashioned now (and in Australia a charlie is a girl, which is rather confusing). The modem equivalent of a charlie is perhaps a wally, a word usually used as an insult; Wally is the nickname from Walter. One word of this kind which has a well-established etymology is silly-billy. This is a word which people use for fool when talking to children. Billy is the nickname for William, and the original silly Billy was King William IV in the early nineteenth century, who was regarded by many as not taking bis royal responsibilities seriously enough.

Feeling foolish

    Silly is itself a very interesting word. It comes from the same root as the German selig, meaning holy. It also meant happy, humble, poor, plain, defenceless, weak and finally foolish, its only meaning today. (The adjective nice, on the other band, has taken a different route: deriving from the Latin nescius, it started off meaning ignorant and foolish, but now it just means - well, nice.)
But back to fools, or clowns, buffoons, goons, all people who act the fool. One word that hit the headlines last year was jerk which the dictionary defines as "a stupid or ignorant person regarded with contempt". It was in the news a few months ago because it was used by a Member of Parliament to refer to another Member of Parliament. Incredibly, the Speaker of the House professed not to be familiar with the word, which must have made him feel a bit of a fool. Indice Pagina   Indice Forum


DISCORSO SULLA STUPIDITÁ dal Dizionario Filosofico di Fernando Savater

Per molto tempo ho creduto che il motivo per cui la storia è così piena di atrocità e di barbarie andasse ricercato nella noia. La noia è un'esclusiva dell'animo umano, un'intemperanza zoologica come il riso o il presentimento della morte (tutt'e tre insieme, attraverso il linguaggio, costituiscono l'origine della nostra peculiarità più famosa: il pensiero). Quando le cose vanno discretamente bene, noi esseri umani ci annoiamo: allora incominciamo a litigare con i vicini, a desiderare spezie rare che possiamo trovare solo in terre lontane, costringendoci ad affrontare mille fatiche, o ci inventiamo minacce sovrannaturali per procurarci le emozioni che ci mancano. Le persone che restano a casa, fra le proprie cose, raramente fanno del male a qualcuno: la tragedia della vita è che, in casa, la maggior parte della gente si annoia. E visto che si annoia, dice che rimanere tranquillamente a casa propria è cosa da vigliacchi, da egoisti e da cattivi patrioti. Perfino i poeti collaborano ad alimentare il disprezzo nei confronti di coloro che stanno bene senza mettersi nei pasticci: Omero dice che c'è bisogno di spedizioni punitive come quella contro Troia, perché i bardi abbiano qualche cosa da cantare e Tolstoi, all'inizio di Anna Karenina, dice che "le famiglie felici non hanno storia".

La grande battaglia di questo mondo è fra quelli che si divertono restando a casa e quelli che invece, a casa, si annoiano, ragion per cui sono sempre disposti a buttarsi per strada. Rivarol disse che in caso di confusione (rivoluzioni, colpi di Stato, persecuzioni di eretici e cose così), vincono sempre quelli che escono in strada e che è per questo motivo che le agitazioni storiche di solito finiscono male: le persone assennate, che restano a casina loro per vedere che cosa succede, perdono tutte le volte senza fallo, sconfitte dagli scalmanati, dagli intriganti, dagli approfittatori, dagli sbudellatori, e cioè dagli annoiati. Nietzsche commenta, con ragione: "Più che essere felici, gli esseri umani vogliono essere occupati." Tutti quelli che li tengono occupati sono, per tanto, dei benefattori. In Oriente la saggezza si adatta alla noia, impresa che agli europei risulta difficile a tal punto da sospettare che la saggezza sia impossibile. Non c'è bisogno di ricordare che fra questi "benefattori" che hanno alleviato il tedio dei popoli si contano i più celebri macellai dell'umanità.

Continuo a pensare che la noia sia una componente fondamentale delle sventure storiche, ma ora sto dando sempre più importanza anche alla stupidità. Devo questa nuova prospettiva alla lettura di un ironico storico italiano, Carlo Cipolla. Il professore italiano dice che gli evidenti e numerosi mali che ci affliggono sono, causati dall'attività incessante di coloro che spontaneamente cospirano più di ogni altro ai danni della felicità umana: cioè, gli stupidi. Non bisogna confondere gli stupidi con gli scemi, con le persone di scarsa luce intellettuale: possono essere anche stupide, ma il fatto di essere poco brillanti le salva quasi del tutto dal pericolo. Invece ciò che è veramente allarmante è che un premio Nobel, un politico, un professore o un ingegnere di spicco possano essere stupidi fino al midollo, a prescindere dalla loro competenza professionale.
La stupidità è una categoria morale, non una qualifica intellettuale: si riferisce dunque alle condizioni dell'azione umana.
Partiamo dal presupposto che ogni azione umana abbia lo scopo di ottenere qualche cosa di vantaggioso per chi la compie. Secondo Cipolla, si possono stabilire quattro categorie morali: prima ci sono i buoni le cui azioni procurano vantaggi a loro stessi e anche agli altri; poi vengono gli incauti, che pretendono di ottenere vantaggi per sé, ma che in realtà non fanno che procurarne agli altri; più giù ci sono i cattivi; che ottengono benefici per sé ai danni degli altri; e per ultimi vengono gli stupidi che, a prescindere se vogliano essere buoni o cattivi, in fin dei conti ottengono solo di pregiudicare se stessi e gli altri. L'opinione di Cipolla è che ci siano molti più stupidi che buoni, incauti e cattivi. E che, oltre tutto, siano più pericolosi: primo, perché non riescono a ottenere niente di buono nemmeno per se stessi e poi per il motivo che già tanti anni fa aveva addotto l'acuto Anatole France: lo stupido è peggiore del cattivo, perché quest'ultimo, talvolta, si riposa, mentre il primo non riposa mai. Peggio ancora, perché la caratteristica dello stupido è la passione di intervenire, di riparare, di correggere, di aiutare chi non chiede aiuto, di curare chi gode di qualche cosa che lo stupido considera una "malattia" e via dicendo; quanto meno riesce a far quadrare la propria vita, tanto più si ostina nel tentativo di emendare quella degli altri. Lenin disse che il comunismo erano i soviet più l'elettricità; qui potremmo stabilire che la stupidità è la condizione di imbecille sommata alla passione dell'attività.
In effetti, guardandosi intorno, ci si potrebbe convincere che l'abbondanza di cattivi e di incauti sia sufficiente a spiegare la portata dei guai in cui ci troviamo. Siamo cinque miliardi e mezzo di esseri umani sul pianeta e crediamo di poter vivere con gli stessi modelli che furono sufficienti per la metà o per un quarto della popolazione attuale. Centinaia di milioni di esseri umani muoiono di fame e le risorse economiche vengono sperperate negli armamenti e nel marmo dei ministeri, mentre il Papa e altri devoti raccomandano di avere tutti i figli che è possibile, perché il contrario è peccato. L'ozono del cielo, l'acqua dei mari e le foreste della terra vengono sacrificati come se poi conoscessimo la maniera di ripristinare ricchezze tanto indispensabili.
In Europa non si sa che cosa sia peggio: se gli jugoslavi che si ammazzano in nome di quella porcheria che è il nazionalismo o quelli che, a prescindere da ciò che sta accadendo in Jugoslavia e altrove, continuar a predicare lo schifo nazionalista in terre ancora in pace; coloro che aspirano alla pace universale senza per questo smettere di vendere armi ai contendenti o i pacifisti che, visto come stanno le cose, pretendono contemporaneamente la difesa dei più deboli e la rinuncia a qualsiasi violenza di tipo istituzionale; se i vociferanti predicatori dell'odio razziale o i loro complici naturali i ben noti avvocati della differenza irriducibile e della dignità superiore dei gruppi oppressi... No, bisogna certamente dare alla stupidità tutta la sua enorme importanza: senza la sua entusiastica collaborazione, la vita umana sarebbe un'avventura più o meno intensa, ma senz'altro mancherebbe dei suoi principali soprassalti collettivi.

Se la stupidità è un male in tutte le categorie umane, fra gli intellettuali è particolarmente grave. Supporre che tutti gli "intellettuali" siano fondamentalmente "intelligenti" è un errore assai generoso, fondato forse sull'omofonia dei due termini. Al contrario, il terreno del dibattito intellettuale esercita sullo stupido un'attrazione magnetica, lo stimola fino al frenesia, gli offre opportunità particolarmente brillanti di essere strepitosamente dannoso. La cosa più grave è che la su consueta imbecillità perde il carattere benevolo, anche deviante che normalmente possiede la stupidità (che in fondo è una perversione alimentata dalle buone intenzioni) e può giungere a essere insolitamente malevola e crudele. Già Voltaire, nel suo Dizionario filosofico, aveva segnalato il pericolo rappresentato da questa categoria: "La più grande sventura di un uomo di lettere non è forse d'essere oggetto della gelosia dei suoi confratelli, o vittima di intrighi, disprezzato dai potenti del mondo ma di esser giudicato dagli sciocchi. Gli sciocchi vanno molto in là, qualche volta; soprattutto quando il fanatismo si unisce alla balordaggine e lo spirito di vendetta al fanatismo". Queste parole sono importanti perché provengono dall'intellettuale anti-stupido per eccellenza, forse l'uomo di lettere cui sono imputabili meno dichiarazioni disastrose, quello da cui è più difficile trarre ispirazione per commettere dei crimini. Tuttavia, nessuno è escluso dalla stupidità: noi intellettuali ce l'abbiamo dentro come una malattia professionale, è per noi come la silicosi per i minatori. Ci sono ragioni strutturali e dinamiche per contrarre quest'infermità. Alla domanda "perché gli stupidi diventano spesso maliziosi?", Nietzsche, uno dei grandi studiosi di tale questione, risponde in questo modo: "Alle obiezioni dell'avversario, rispetto alle quali la nostra mente si sente troppo debole, risponde il nostro cuore facendo apparire sospetti i motivi delle obiezioni." Quando una nostra argomentazione, o la nostra comprensione, è insufficiente ricorriamo al processo alle intenzioni e di qui, qualora abbiamo influenza sui poteri governativi, al processo tout court. Per questo ogni vigilanza è sempre insufficiente e ciascuno deve sottoporsi a controlli periodici per scoprire in tempo l'incubazione della stupidità. Ecco i sintomi più frequenti: seriosità, presunta vocazione a una missione elevata, paura degli altri accompagnata dall'assurda preoccupazione di piacere a tutti, impazienza rispetto alla realtà (le cui deficienze sono da noi considerate offese personali o parte di una cospirazione contro di noi), maggior rispetto per i titoli accademici che per l'assennatezza o la forza razionale degli argomenti esposti, oblio dei limiti (dell'azione, della ragione, della discussione), tendenza alla vertigine intossicante e così via.
Un buon test per verificare in noi intellettuali le stragi compiute dal morbo della stupidità è chiederci sinceramente se possiamo ancora rispondere a chi ci interroghi su che cosa abbiamo fatto rispetto ai terribili mali del mondo con la saggia modestia di Albert Camus: "Per incominciare, non li ho aggravati". Brutto sintomo, se questo dovesse sembrarci poco... Indice Pagina    Indice Forum


ALCUNI SINONIMI. Lo stupido secondo alcuni ricercatori si può anche chiamare:

accapaccoito; acciarpone; addormentato; allocchito; allocco; allodola; allogliato; alterato; anserino; appannato; arterio; asino; automa; avannotto; avariato; babaccione o babbaccione; babbaleo; babbalocco; babbano; babbeo; babbione; babbuasso; babbuino; bacato; baccala; bacello o bacellone; bacherozzo; bacucco; badalone; baggeo; baggiano o baiano; balengo; balogio; balordo;bamba; bambolone; banano; barbagianni; barbalocco; batacchio o batocchio; bauscia; bebo; belinone; beota; bergolo; bernardone; bertoldo; bertuccione; bescio o besso; bestia o bestione; bietolone; bigolo; bischero; bislacco; bogio; bombolone; bombro; bornio; bove; bozzo; brocco o broccolo; buaccio; bucefalo; bue; buro; cacchione; calandrino; canchero; cane; capoccione; caprone; carciofo; carota; castrone; cazzone; cefalo; cerebroleso; cervello (-di gallina; -in ferie; -in pappa); cetriolo; cieco; ciriola; citrullo; ciuco; ciula; cocomero; coglionazzo; corbello o corbellone; corrivo; credenzone; cretino o cretinoide; cruschello; cucchiaione; deficiente; demente; dindo; dindo cotto; disastrato; disgregato; disipiente; dissennato; distorto; ebete; faccione; facilone; fagianotto; fagiolone; famiglia Duroni; fava; ferraoche;fesso, fissato; flippato; floscio; folle; fregnone; frenastenico; frescone; frollo; fuori fase; fuso; gaggio; gallastrone; gallina (solo femminile); gallione; ghiozzo; giaggiolone o giuggiolone; gianni; giaurro; giocondo; giucco; gnocco; gnuccone; gnuf; goffo; gonzo; gretto; grippato; grosso; grullo; handicappato; idiota; ignorante; imbecille; impagliato; impallonato; impedito; incauto; inintelligente; insensato; intronato; lasagnone; lavaceci; limitato; lince; locco; macaco; maccabeo; maccherone; macco; malaccorto; malerba; malescio; maniaco; marmotta; martuffo; marzocco; materiale; matterugiolo; matto o mattoide; memmeluco o mammalucco; menchero; mentecatto; meo; merlo o merlotto; merluzzo; mestolone; miccio o micco; microcefalo; midollone; minchione; minorato; minus habens; mona; mongoloide; monomaniaco; montone; mulo; nato ieri; negronetto; neurolabile; ninnolone; nottolone; obnubilato; oca (solo femminile); ocone; offuscato; olivone; omelette; ottuso; paccheo; palmipede; pane e (-faina; -volpe); papavero; papero; pappalardo; paranoico; pastriciano; pataca, patacca o pataccone; patata o patatone; pazzo o pazzoide; peracotta; piffero; pinotto; pippione; pirillo; piripacchio; pirla; pisellone; pistacchio; pistola; pistone; pollastro; pollo; psicolabile; psicopatico; puzzone; quaglia quaglio o quagliotto; quaquaraqua; ragliatore; rapa o rapone; ricotta; rimbambito; rimbecillito; rincitrullito; rintronato; ritardato mentale; robiola; robot; saccone; salame; salapuzio; sbacalito; sbalestrato; sballato; sbiellato; sbombato; sbrodolone; sbullonato; scalcagnato; scalzacane; scamorza; scapato; scaracchione; scarafone; scarpa o scarpone; scarso; scartino; scasimodeo o squasimodeo; scemo; scempio; scervellato; schiantato; schiappa; schizofrenico; schizoide; sciagurato; scialbo; sciamannato; sciaquino; sciatto; scimunito; sciocco; sciroccato; sclerotico; scombinato; sconclusionato; sconnesso; sconsiderato; scriteriato; sderenato; semolino; semplicione o sempliciotto; sfasato; sfessatone; sfocato; sinistrato; somaro; sottosviluppato; sparacazzate; spastico; spazzacasini; spento; spostato; sprovveduto; squacquerone; squilibrato; squinternato; sragionante; stolido; stolto; stordito; strapazzone; stravolto; stronzo; strullo; stupido, sugo di faina; suonato; svampito; sventato; sventurato; svitato; talpa; tambellone; tanghero; tapiro, tarato; tardo; tentenna; testa (-di cavolo; -di cazzo; -di legno; -di minchia; -dura; -quadra; -vuota); testina o testolina; testone; tinco; tiraseghe; tocco; tonno; tonto; tordo; torpido; trastullone; trullo; uguanno o uguannotto; uovo di falco; vaneggiante; vuoto mentale; wafer; zucca o zuccone; zufolo...
e chi piu' ne ha , piu' ne metta.  Indice Pagina    Indice Forum


LA STUPIDITA' OGGI

La stupidita'
ha fatto progressi enormi...
grazie ai mezzi di comunicazione,
non e' nemmeno piu' la stessa,
si nutre di altri miti,
si vende moltissimo,
ha ridicolizzato il buon senso,
spande il terrore intorno a se'.

( E. Flaiano, "Corriere" 1969)

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LE LEGGI DELLA STUPIDITA' UMANA (da Carlo M. Cipolla)

Prima legge
Sempre ed inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero di individui stupidi in circolazione*.

Seconda legge
La probabilita' che una certa persona sia stupida e' indipendente da qualsiasi altra caratteristica della stessa persona.

Terza legge
Una persona stupida e' una persona che causa un danno ad un'altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per se' o addirittura subendo una perdita.

Quarta legge
Le persone non stupide sottovalutano sempre il potenziale nocivo delle persone stupide. In particolare i non stupidi dimenticano costantemente che in qualsiasi momento e luogo, ed in qualunque circostanza, trattare e/o associarsi con individui stupidi si dimostra infallibilmente un costosissimo errore.

Quinta legge
La persona stupida e' il tipo di persona piu' pericoloso che esista.

LEGGI DELLA STUPIDITA'A'da: ALLEGRO MA NON TROPPO di: Carlo M. Cipolla

classificazione dell'uomo secondo la destinazione della bonta' delle sue azioni.

Leggi fondamentali della stupidita' :

1. sempre e inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero degli individui stupidi in circolazione

2.la probabilita' che una certa persona sia stupida e' indipendente da qualsiasi altra caratteristica della stessa persona, spesso ha l'aspetto innocuo/ingenuo e cio' fa abbassare la guardia.

3.una persona stupida e` una persona che causa un danno ad un altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per se' o addirittura subendo una perdita

4.le persone non stupide sottovalutano sempre il potenziale nocivo delle persone stupide. In particolare dimenticano costantemente che in qualsiasi momento e luogo, e in qualsiasi circostanza, trattare e/o associarsi con individui stupidi si dimostra infallibilmente un costosissimo errore

5.la persona stupida e' il tipo di persona imprevedibile piu' pericolosa che esista

6.i grandi personaggi carismatici/demagoghi moltiplicano/attirano gli stupidi trasformandoli da cittadini pacifici in masse assatanate

7.quando la maggior parte di una societa` e` stupida allora la prevalenza del cretino diventa dominante ed inguaribile

Fatti:

1.gli stupidi danneggiano l'intera societa'

2.gli stupidi al potere fanno piu' danni degli altri.

3.gli stupidi democratici usano le elezioni per mantenere alta la percentuale di stupidi al potere.

4.gli stupidi sono piu' pericolosi dei banditi perche` le persone ragionevoli possono capire la logica dei banditi.

5.i ragionevoli sono vulnerabili dagli stupidi perche': generalmente vengono sorpresi dall'attacco non riescono ad organizzare una difesa razionale perche' l'attacco non ha alcuna struttura razionale.
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LA STUPIDITA' PENSA Daniela Maddalena, Il cretino cognitivo, Milano, Carabà Edizioni, 1997, pp. 96, L. 15 000 recensione di Andrea Turchi

Le istituzioni - da quelle più generali come l'esercito, il sistema penitenziario e quello ospedaliero, alle più settoriali e specifiche possono essere distinte per il loro grado di autoconsistenza e di autoreferenzialitàl in termini più semplici, per il loro relativo grado di chiusura o di apertura. Ancora illuminante, in tal senso, è l'ormai remoto e poco ricordato, Asylums di Erving Goffman (Torino, Einaudi, 1968; ed. orig. 1961 sulIe 'Istituzioni totali'. Anche senza utilizzare repertori teorici sofisticati, è ragionevole sostenere che un'istituzione è tanto più chiusa quanto più sono dominami e forti in essa le regole interne rispetto a quelle generali: l'organizzazione della vita (non a caso si usa questo termine) militare si regge su modalità, norme e divieti rigidamente stabiliti dall'interno, di fronte ai quali spesso impallidiscono le più ampie regole dei viver civile. Uno dei sensori più efficaci per stabilire il grado di chiusura di un'istituzione è il ruolo che in essa svolge il linguaggio regionale, cioè il gergo, o 'dialetto' che dir si voglia, che la contraddistingue. E' indubbio che la frase 'il diciassette oggi sta in bianco' si può facilmente contestualizzare: si tratta di un infermiere che, in una struttura ospedaliera, parla della dieta di un paziente con un altro infermiere. Come il semplice esempio dimostra, la caratterizzazione linguistica può essere, a un tempo, semantica e lessicale. Vale la pena fare una piccola digressione per sottolineare come il linguaggio scientifico (anzi, i linguaggi scientifici) siano da considerarsi un po' a parte: infatti, da un lato sono estremamente caratteristici - essendo a volte gerghi con lessici comprensibili solo a piccolissime comunità - dall'altro sono utilizzati solo nella speciale funzione di comunicazione 'interna' e non permeano di sé l'intera vita     della comunità scientifica; mentre, per esempio, l'espressione 'non sono andato in cattedra' costituisce gergo, con un suo preciso senso, della comunità universitaria e nessuno potrebbe sostituirlo, per esempio, con 'non sono andato in scrivania'. Utilizzando il sensore del linguaggio, si può      scoprire che la scuola è un'istituzione a elevata chiusura e autoreferenzialità. Questa non è un'affermazione nuova, ma pur sempre sorprendente considerando che tutti, proprio tutti, siamo andati o andiamo a scuola e che l'istruzione è un diritto/dovere sancito dalla 'norma delle norme', cioè dalla Costituzione. Eppure tutti noi conserviamo aspetti del lessico che stabiliscono un legame assoluto con la scuola: ricreazione, campanella, supplenza, ora di buco sono termini e locuzioni che nel contesto scolastico hanno acquistato significato peculiare e definito. Alle parole 'tradizionali' e consolidate del gergo scolastico sì è aggiunto, in tempi più recenti, un dialetto di importazione che proviene dagli - studi cognitivi mutuati nella scuola dalla pedagogia. Introdotto per la condivisibile necessità di conferire al lavoro dell'insegnante modalità e procedure scientifiche, cioè riproducibili e controllabili, questo linguaggio è piombato letteralmente sugli insegnanti, sui loro antichi e mai rinnegati riti, sugli schemi tradizionali, sulle inveterate abitudini che testimoniano il carattere parzialmente
'chiuso' dell'istituzione scolastica. L'impasto, o per meglio dire la giustapposizione tra vecchio e nuovo, ha prodotto e produce fenomeni curiosi se non inquietanti: per esempio, si continua a bocciare o a promuovere, senza domandarsi più - giustamente - se il proprio alunno
è somaro o sapiente, ma chiedendosi se la "rappresentazione della conoscenza dell'alunno è procedurale o dichiarativa". Ho tratto questa frase dall'argutissimo volumetto di Daniela Maddalena (pag.54), dall'efficace titolo Il cretino Cognitivo. In effetti, l'autrice, che è un insegnante, tratta dell'uso improprio della gergalità cognitivista non solo nella scuola, ma anche in altre situazioni più o meno istituzionali: un'azienda, un vernissage di una mostra e così via. In tutti questi luoghi - e in modo democraticamente omogeneo come sosteneva in un altro geniale saggio sulla stupidità Carlo M. Cipolla - vi è la possibilità di imbattersi nel cretino cognitivo, cìoè - come viene definito dall'autrice con spiritosa veemenza - nell'«imbecille competente, lo stolido conoscitivo, il fatuo provvisto di informazioni» (p. 14). La definizione di Maddalena ricorda quella fulminante e preveggente di Jean Cocteau: «la stupidità pensa». Quello di Coeteati non era solo un aforisma, bensì la punta di una riflessione sul rapporto tra natura umana e progresso., Gli strumenti della tecnologia, efficaci e servizievoli (per esempio il computer con il quale sto scrivendo) e le informazioni da essi supportate (mi si lasci passare questo termine cretinocognitivo) sono a disposizione di tutti e perciò, giustamente, anche dei cretini. Questi strumenti aumentano le capacità del pensiero, le simulano efficacemente mettendole a disposizione anche dei cretini, cosi come le automobili veloci aumentano la pericolosità dei cretini. Lo sciocco della tradizione, l'ottuso che non mancava mai nei villaggi, povero nel lessico e privo delle più elementari informazioni, è sostituito oggi da un esperto, in grado di «sfornare parole senza limiti e trasformarle in oggetti di consumo» (p. 20). Se è vero che il cretino cognitivo alberga ovunque (e in tutti noi, se non stiamo attenti), nella scuola trova un terreno fertile: questa istituzione riformata a metà, con forti ed evidenti elementi
culturali di novità assieme a pesanti e caduche abitudini didattiche, facilita l'inserimento di finti innovatori, di modesti giocolieri della lingua che parlano di 'personanza', di 'conoscenze procedurali', di 'pedagogia agita' (tutte espressione tratte da Maddalena). Non a caso, i capitoletti dedicati alla scuola sono forse i più esilaranti, o preoccupanti (dipende dai    punti vista). Si raccomanda, in particolare, la lettura di un questionano per la preparazione dei consigli di classe, riportato giustamente in versione integrale. Nella scuola, il cretino cognitivo, che svuota le cose del loro contenuto concreto e del loro sapore sostituendoli con vane formule verbali, può facilmente fare, proseliti tra gli studenti, per una sorta di neo-conformismo; come nota l'autrice «se a dodici anni gli alunni si fanno interrogare sull'amarezza di Leopardi o le conseguenze sociali della guerra delle Due Rose, senza saper trovare l'Inghilterra sull'atlante o saper raccontare una propria esperienza d'amore perduto, stanno facendo i primi passi verso un brillante futuro di vuota formazione cretino cognitiva» (p. 56). Il tono usato dall'autrice è quello giusto per affrontare un argomento simile: quello arguto e fazioso del pamphlet - genere purtroppo poco usato nelle polemiche nostrane dove abbonda invece l'insulto gratuito - in cui si mescolano acute osservazioni, documentazione, digloglietti, canzoni e filastrocche. Traspira dalla lettura che non ci si libera dai cretini cognitivi se non con l'esercizio dell'intelligenza sarcastica o del più bonario sfottò: strumenti retorici che strappano al cretino cognitivo il sottile velo di quella competenza culturale che tanto impressiona l'ascoltatore ingenuo (ma non cretino). Si segue, invece, con meno slancio la verve dell'autrice laddove il pamphlet si trasforma in partito preso, in scelta di campo. Questa viene adombrata soprattutto al termine del breve saggio, in cui si contrappone la mente segmentata e spezzettata da certo cognitivismo aun approccio diverso, più complessivo, dell'intelligenza umana. La polemica è rivolta a quegli approcci scientifici (riduzionisti), che scompongono all'infinito i soggetti per ricercare gli elementi ultimi costitutivi, ma che perdono di vista il quadro esaustivo dell'insieme. A questa prospettiva vivisezionistica dell'analisi» (p. 83) viene -contrapposto un modo di procedere 'ecologico', più le legato al rapporto che il soggetto ha con sé stesso e con l'ambiente, e sono qui evidenti gli influssi dell-ecologia della mente' di Gregory Bateson. Naturalmente questi sono argomenti sui quali è importante discutere, ma per i quali purtroppo si deve abbandonare l'approccio del pamphlet: altrimenti, siamo proprio sicuri che non esistano i cretini olistici? 
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SULL'IGNORANZA DELLE PERSONE COLTE. William Hazlitt  (Si possono ricordare le posizioni di Pasolini e Illich sull'abolizione della scuola, oppure Shaw e altri che a scuola non hanno imparato molto!)

L'istruzione troppe volte è in contrasto col senso comune; un surrogato del vero sapere. I libri vengono usati meno come "occhiali" per guardare la natura, che come imposte per tenere lontana la forte luce e la scena mutevole da occhi deboli e temperamenti apatici. Il divoratore di libri si avvolge nella sua rete di astrazioni verbali, e vede solo la pallida ombra delle cose riflessa dalla mente altrui. La natura lo sconcerta. La visione degli oggetti reali, spogliati del travestimento delle parole e delle lunghe circonlocuzioni descrittive, è un colpo che lo fa vacillare, e la loro varietà lo turba, la loro rapidità lo fa smarrire. Si ritrae dalla confusione, dal chiasso, e dal turbinoso movimento del mondo attorno a se (non avendo né l'occhio adatto a seguirlo nei suoi capricciosi mutamenti, né un'intelligenza che sappia ricondurlo a principi fissi), per tornare alla quieta monotonia delle lingue morte e alle meno sconcertanti e più intelligibili combinazioni delle lettere dell'alfabeto. Così va bene, va proprio bene. "Lasciatemi al mio riposo" è il motto dei dormienti e dei morti. Chiedere al paralitico di saltare dalla sua sedia e buttar via la gruccia, o, senza un miracolo, di "prendere il suo letto e camminare", è come aspettarsi dal lettore colto che posi il suo libro e pensi da sé. Ci resta attaccato per avere un sostegno intellettuale, e la paura di essere lasciato solo con se stesso è come il terrore che incute il vuoto. Riesce a respirare solo un'atmosfera colta, così come gli altri uomini respirano aria comune. E' uno che chiede la saggezza in prestito dagli altri. Non ha idee proprie e deve quindi vivere di quelle altrui. L'abitudine di rifornirci di idee da sorgenti non nostre indebolice ogni forza di pensiero interiore........Possono meravigliarci allora la stanchezza e il languore prodotti da una vita di istruzione indolente e ignorante, passata con gli occhi fissi su frasi e sillabe che riescono a suscitare idee o interesse poco più che se fossero scritte in qualche lingua sconosciuta, finché il sonno non chiude gli occhi, e il libro cade nelle mani indebolite.....La differenza fra lo scrittore istruito e llo studente consiste in questo, che il primo trascrive ciò che il secondo legge. Il dotto non è che uno schiavo letterario. Se lo mettete a scrivere una composizione propria, gli gira la testa, e non sa più dov'è. Gli infaticabili lettori di libri sono come gli eterni copisti di quadri che, quando provano a dipingere qualcosa di originale, trovano che manca loro l'occhio veloce, la mano sicura e i colori brillanti, e perciò non riescono a riprodurre le forme viventi della natura. Chiunque sia passato per i gradi regolari dell'educazione classica senza essere stato ridotto all'imbecillità, si può ritenere salvo per miracolo. I ragazzi che figurano a scuola non sono quelli che faranno la migliore riuscita quando saranno adulti ed entreranno nel mondo: è una cosa da sempre. Infatti le cose che un bambino è obbligato a studiare a scuola, e dalle quali dipenderà il suo successo, sono cose che non richiedono l'esercizio né delle più alte né delle più utili facoltà mentali. La memoria ( e della specie più bassa) è la qualità necessaria per ripetere meccanicamente le lezioni di grammatica, di lingue, di geografia, aritmetica, ecc., cosicché il ragazzo che ha molta di questa memoria meccanica, e pochissimo interesse per le altre cose che invece dovrebbero naturalmente e con più forza attrarre la sua attenzione fanciullesca, sarà lo scolaro più brillante di tutti.....
Esiste una stupidità che impedisce ai ragazzi di imparare le lezioni giornaliere e di arrivare a ottenere questi miseri onori accademici. Ma quello che passa per stupidità è assai più spesso mancanza di interesse e di un motivo sufficiente per stare attenti, e applicarsi con disciplina agli aridi e insignificanti scopi dello studio scolastico. le migliori capacità sono molto al di sopra di questa schiavitù; così come le peggiori stanno al di sotto. i nostri uomini di più grande ingegno non si sono particolarmente distinti né a scuola né all'università. Gray e Collins sono due esempi di questo carattere ribelle. persone simili non si regolano nel comportamento secondo i vantaggi che ne possono trarre, e non riescono a sottomettere servilmente l'immaginazione al duro giogo della scuola. C'è un certo genere e un certo grado dell'intelletto sul quale le parole fanno presa, ma in cui le cose non hanno il potere di penetrare. Un talento mediocre, con una costituzione un po' fiacca, è il suolo che produce i più brillanti esemplari di scrittori di saggi premiati, e di epigrammi greci. Non bisognerebbe dimenticare che il più ambiguo figuro tra i nostri uomini politici moderni fu lo studente che ebbe successo a Eton...... L'istruzione è la conoscenza di quello che solo le persone istruite conoscono. Il più istruito di tutti è colui che conosce meglio tutto ciò che vi è di più lontano dalla vita quotidiana, dall'osservazione immediata, che non è di alcuna utilità pratica, che non può essere provato dall'esperienza e che, dopo essere passato attraverso un gran numero di stadi intermedi, resta ancora pieno di incertezza, di difficoltà, e di contraddizioni. E' vedere e ascoltare con occhi e orecchie altrui, è credere ciecamente al giudizio degli altri. La persona istruita è fiera della sua conoscenza di nomi e di date, non di quella di uomini e cose. Non pensa e non si interessa ai suoi vicini di casa, ma è al corrente degli usi e costumi delle tribù e delle caste degli Indù e dei tartari calmucchi. Riesce appena a trovare la via vicina alla sua, benché conosca le dimensioni esatte di Costantinopoli e di pechino............Uno studioso puro, che conosce soltanto i libri, per forza deve essere ignorante anche in questo campo. "I libri non dicono a cosa servono i libri". Come può giudicare infatti un opera colui che non ne conosce la materia? Il dotto pedante è pratico di libri solo in quanto questi sono composti da altri libri, e quelli da altri ancora, e così via all'infinito. Ripete come un pappagallo tutto ciò che altri hanno ripetuto a pappagallo. Sa tradurre una parola in dieci lingue diverse, ma non sa niente del significato della cosa in ciascuna di esse. Si riempie la testa con fonti che si rifanno ad altre fonti, con citazioni di citazioni, mentre tiene ben chiusi sotto chiave i propri sensi, la propria intelligenza e il proprio cuore.........Il dotto professore di ogni arte e di ogni scienza non sa praticarne neanche una, benché possa preparare un articolo su di esse per qualche enciclopedia. Non sa usare neanche mani e piedi, non sa correre, né camminare, né nuotare, e considera gli uomini volgari e meccanici coloro che comprendono ed esercitano queste arti del corpo e della mente, benché per saperne anche una sola alla perfezione occorra molto tempo ed esercizio, capacità, forza e talento. Questo più o meno è quanto occorre al colto candidato per ottenere, attraverso uno studio faticoso, il titolo di dottore e una posizione; per poi mangiare, bere e dormire tutto il resto della vita!..........
Sentirete molte più cose spiritose viaggiando a cassetta in diligenza da Londra ad Oxford, che in un anno di permanenza tra gli studenti e i professori di quella celebre università. E s'imparano più verità ascoltando una rumorosa discussione in una birreria, che assistendo a una seduta alla Camera dei Comuni. Una gentildonna di campagna di una certa età avrà spesso più conoscenza del carattere umano, e saprà raccontare più aneddoti divertenti, tolti dalla storia di tutto quello che è stato detto, fatto e spettegolato in paese negli ultimi cinquant'anni, di quel che non possa raccogliere la più grande saccente del secolo da tutti i romanzi e i poemi satirici pubblicati nello stesso periodo.......Ecco come viene usato il sapere umano. Sembra che i lavoratori di questa vigna abbiano lo scopo di confondere il senso comune e le distinzioni fra il male e il bene per mezzo di massime tradizionali e di nozioni preconcette che diventano sempre più assurde col passar del tempo. Fanno ipotesi, ci innalzano montagne, finché non è più possibile giungere alla più semplice verità su alcunché. Vedono le cose non come sono, ma come le trovano nei libri, e "chiudono gli occhi e cancellano i dubbi" per non dover scoprire niente che sia in contrasto coi loro pregiudizi, o possa convincerli della loro assurdità. si direbbe che la forma più alta della saggezza umana consista nel mantenere le contraddizioni, e nel rendere sacro ciò che è insensato. Non c'è dogma, per quanto feroce o sciocco che sia, a cui questa gente non abbia apposto il suo sigillo, tentando di imporlo alla comprensione dei suoi seguaci come fosse la volontà del cielo, rivestita di tutto il terrore e delle sanzioni della religione. L'intelligenza umana è stata ben poco diretta a ricercare l'utile e il vero! Quanto ingegno sprecato nella difesa di credi e di teologie! Quanto tempo, e quanto talento sono stati perduti in controversie teologiche, in processi, in politica, in critiche verbali, in astrologia goiudiziaria e nella ricerca della pietra filosofale!.......Le persone che non hanno un'istruzione hanno un'inventiva esuberante, e sono senz'altro libere da pregiudizi. Shakespeare fu poco istruito, come risulta chiaro tanto dalla freschezza della sua immaginazione quanto dalla varietà dei suoi concetti. Milton invece sa di accademia, tanto nel pensiero, come nel sentimento. Shakespeare non aveva dovuto svolgere a scuola dei temi in favore della virtù e contro il vizio. Dobbiamo a questa circostanza il tono sano e non affettato del suo teatro. Se desideriamo conoscere la forza del genio umano dobbiamo leggere Shakespeare. Se vogliamo constatare quanto sia insignificante l'istruzione umana possiamo studiare i suoi commentatori.

L'entusiasta fantasia ha sempre marinato la scuola. Charles Lamb  Indice Pagina    Indice Forum

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